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Demenza, verso test per predirla 10 anni prima

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Milano, 12 feb. (Adnkronos Salute) - Predire la demenza 10 anni prima oppure scoprire chi nel giro di 6 mesi potrebbe avere un infarto. Leggere il futuro nel sangue, in proteine e metaboliti, mettendo insieme più indicatori e mixandoli con informazioni su età, sesso e altro. E' la...

Milano, 12 feb. (Adnkronos Salute) – Predire la demenza 10 anni prima oppure scoprire chi nel giro di 6 mesi potrebbe avere un infarto. Leggere il futuro nel sangue, in proteine e metaboliti, mettendo insieme più indicatori e mixandoli con informazioni su età, sesso e altro. E' la sfida intrapresa da diversi team di scienziati. Con risultati che sembrano aprire all'applicazione di modelli in grado di predire malattie e rischi imminenti. Modelli dai quali potrebbero nascere nuovi test. Due studi diversi pubblicati su riviste del gruppo Nature illustrano alcuni scenari possibili: per esempio quello di riuscire a predire dall'analisi di alcune proteine nel sangue l'insorgere della demenza, in persone adulte sane, anche oltre 10 anni prima della diagnosi; oppure ancora scoprire chi nel giro di 6 mesi potrebbe avere un infarto, mettendo insieme gli 'alert' intercettabili da 43 metaboliti e 48 proteine con l'identikit della persona: età, sesso, pressione arteriosa.

L'avvento della proteomica, spiegano gli autori del lavoro pubblicato su 'Nature Aging', cioè scienziati dell'Università Fudan di Shanghai in Cina, "offre un'opportunità senza precedenti per prevedere lo sviluppo di demenza. Lo abbiamo verificato nei dati di 52.645 adulti senza la patologia, contenuti nella Uk Biobank, con 1.417 casi che si sono verificati nel tempo e un follow-up di 14,1 anni. Su 1.463 proteine ​​plasmatiche, ce n'erano alcune – hanno osservato i ricercatori – che erano in gran parte associate costantemente con l'insorgere di demenza per tutte le cause (all-cause dementia), malattia di Alzheimer e demenza vascolare.

Queste proteine (Gfap, Nefl, Gdf15 e Ltbp2) si classificavano in alto per ordine di importanza. Le persone con livelli di Gfap più elevati avevano 2,32 volte più probabilità di sviluppare demenza, riferiscono gli autori. E in particolare, Gfap e Ltbp2 erano altamente specifici per la previsione della demenza. Gfap e Nefl hanno iniziato a cambiare almeno 10 anni prima della diagnosi. "I nostri risultati evidenziano fortemente il Gfap come biomarcatore ottimale per la previsione della demenza, anche più di 10 anni prima della diagnosi, con implicazioni per lo screening delle persone ad alto rischio di demenza e per l'intervento precoce".

L'altro studio, pubblicato su 'Nature Cardiovascular Research, descrive il lavoro di un team internazionale di scienziati (a maggioranza svedese, ma fra gli autori figura pure un'italiana, Giovanna Masala dell'Unità di epidemiologia clinica dell'Ispro-Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica di Firenze). I ricercatori si sono concentrati sull'infarto del miocardio, "una delle principali cause di morte a livello globale, notoriamente difficile da prevedere. Il nostro obiettivo – spiegano – era identificare i biomarcatori di un primo infarto miocardico imminente e progettare modelli di previsione rilevanti".

I ricercatori hanno preso in considerazione 2.018 persone senza precedente malattia cardiovascolare provenienti da 6 coorti europee, tra le quali 420 hanno sviluppato un primo infarto miocardico entro 6 mesi dal prelievo di sangue di riferimento. "Abbiamo analizzato 817 proteine ​​e 1.025 metaboliti nel sangue stoccato in biobanca e 16 variabili cliniche", illustrano gli autori. Risultato: 48 proteine, 43 metaboliti e le variabili età, sesso e pressione arteriosa sistolica erano "associati al rischio di un imminente primo infarto miocardico". Il peptide natriuretico cerebrale era associato in modo più consistente al rischio di infarto miocardico imminente, evidenziano.

Utilizzando variabili facilmente disponibili, gli autori hanno ideato dunque "un modello di previsione" per l'infarto miocardico imminente "per uso clinico nella popolazione generale, con buone prestazioni" che consentono di "discriminare" i casi e "potenziale per motivare gli sforzi di prevenzione primaria".