Roma, 19 feb. (Labitalia) – "Non si può negare che il nome di Donald Trump sia ormai collegato alla parola dazi. Dall’ascesa alla Casa Bianca, il Presidente ha impostato la politica economica su una logica chiara: usare le tariffe come arma di pressione nelle trattative commerciali, un metodo che gli ha permesso di dettare le condizioni nei rapporti bilaterali tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. Lo abbiamo visto agire con l’Europa, premendo affinché gli alleati del Vecchio Continente facessero concessioni in nome di un presunto riequilibrio commerciale. Un altro banco di prova sono stati Messico e Canada, dove Trump ha fatto leva sulle tariffe principalmente come mezzo di controllo politico chiarendo, senza troppi indugi, che solo chi saprà arginare il flusso di migranti irregolari verso gli Stati Uniti e il traffico di fentanyl potrà evitare ripercussioni sul fronte commerciale". Ad affermarlo, ad Adnkronos/Labitalia, è Lucio Miranda, presidente di ExportUsa, società di consulenza che aiuta le aziende italiane a entrare, con successo, nel mercato americano.
"Il dibattito, sin dall’Inauguration day, è stato acceso: tra i primi atti della sua amministrazione, Trump – ricorda – ha istituito una commissione d’inchiesta con il compito di analizzare, paese per paese, lo stato delle relazioni commerciali e fornire, entro 90 giorni, un quadro chiaro su quali azioni adottare. Un’iniziativa che, sulla carta, avrebbe dovuto portare a decisioni ponderate, ma che in molti hanno interpretato come l’ennesima mossa tattica per guadagnare tempo e rafforzare il suo potere contrattuale. Quel che è certo è che il commercio globale ha assunto un volto nuovo, dove le tariffe sono pesi sulla bilancia del potere geopolitico".
"Con Trump, bisogna però – avverte – far caso alle parole: se prima si trattava semplicemente di dazi, adesso ha preso piede la strategia dei dazi reciproci che andrebbe a colpire, con la stessa moneta, tutti quei paesi che già applicano dazi ai prodotti americani. Una tecnica che, se ci pensiamo bene, lo piegherebbe alle regole europee: faccio ciò che fate voi. Un sistema in cui i dazi per importare in America da un qualsiasi paese si allineano ai dazi imposti da quello stesso paese alle importazioni di merci e beni in arrivo dall'America".
"Il tutto – prosegue Lucio Miranda – condito dall’Iva, ora al centro del dibattito nei negoziati commerciali. Nelle ultime settimane, infatti, l'Imposta sul valore aggiunto è emersa come una questione controversa all'interno dell'evoluzione del quadro politico commerciale. Man mano che prendono forma i negoziati con l'Europa, l'Iva, insieme ai dazi doganali, giocherà un ruolo centrale nelle discussioni. I critici all'interno dell'amministrazione Trump sostengono che l'Iva rappresenti un ostacolo significativo alle esportazioni americane, citando le sue aliquote elevate in tutta Europa, che in alcuni paesi possono raggiungere il 22%. In netto contrasto, gli Stati Uniti si affidano a un sistema di imposta sulle vendite con un'aliquota media di circa il 7,2%, rendendo l'Iva apparentemente sproporzionata nei confronti dei beni americani che entrano nei mercati europei".
"Questo confronto semplifica, però, eccessivamente la questione. La differenza fondamentale non risiede nelle aliquote, ma nel modo in cui queste imposte sono strutturate e applicate. Non dimentichiamoci che in Europa vige la sales Tax. A differenza dell'imposta sulle vendite, che viene applicata una sola volta al momento della vendita, l'Iva non viene applicata sull'intero prezzo di vendita di un prodotto, ma solo sul valore aggiunto in ogni fase della produzione. Viene calcolata sulla differenza tra il ricavo ottenuto dalla vendita di un prodotto e il costo sostenuto per portarlo sul mercato", spiega.
"Se un prodotto viene venduto a 3.000 dollari e il suo costo di produzione, marketing e gestione è di 1.500 dollari, l'Iva viene applicata solo sui 1.500 dollari di valore aggiunto. Con un'aliquota del 20%, l'Iva applicata sarebbe di 300 dollari, pari a circa il 10% del prezzo finale di vendita. Di conseguenza, l'impatto reale dell'Iva sulle importazioni americane in Europa, se calcolato correttamente, riduce il divario percepito con l'imposta sulle vendite a meno del 3% del prezzo totale di vendita. Questo mette in discussione l'idea diffusa che l'Iva rappresenti un onere eccessivo sulle esportazioni americane e sottolinea la necessità di un'analisi più approfondita nelle discussioni sulla politica commerciale", conclude.