La seconda guerra mondiale è stata una delle più sanguinose della storia dell’umanità e non ha risparmiato neanche il lontano paese del Sol Levante. Scopriamo nel dettaglio i motivi del coinvolgimento del Giappone nel secondo conflitto mondiale e come si è arrivati ai fatali attacchi nel Pacifico.
Giappone: perché entra in guerra
Quando la Germania sconfisse la Francia, l’Olanda e la Gran Bretagna, per il Giappone si presentò un’occasione d’oro. Quello era il momento giusto per impadronirsi dei paesi sconfitti, ovvero la Malesia, la Birmania, l’Indocina francese e le Indie olandesi. Questi territori avrebbero assicurato un rifornimento di petrolio ed erano delle ottime basi per conquistare la Cina, così da liberare anche i paesi dell’Asia dal dominio europeo.
Il Giappone era impegnato da anni nella conquista della Cina, ma nel 1937 le vittorie si rivelarono scarse, in quanto gli Stati Uniti aiutavano Chiang Kai Shek a mantenere forte la resistenza e i giapponesi erano dipendenti dagli Stati Uniti per il rifornimento di petrolio. La soluzione, quindi, era quella di impadronirsi di quelle terre appartenenti agli stati sconfitti dalla Germania. I giapponesi erano di fronte a una scelta: prolungare lo sforzo militare in Cina o impadronirsi dell’intero Estremo Oriente e rischiare una guerra con gli americani. Così, i giapponesi cominciarono le trattative diplomatiche e l’inizio sembrò incoraggiante. I francesi accettarono la dislocazione di truppe giapponesi in Indocina e anche gli inglesi si arresero, ritirando le loro guarnigioni dalla Birmania, da Shangai e da Tientsin.
Intanto, il Giappone firmò il Patto Tripartito, per evitare aggressioni da paesi non ancora impegnati nel conflitto. Dopo questi traguardi, i successi del Sol Levante finirono lì. Gli Stati Uniti convinsero l’Olanda a non cedere alle richieste dei giapponesi e gli inglesi riaprirono le strade verso la Birmania. In seguito, americani, australiani, olandesi e inglesi cominciarono a unire le forze per la difesa dal Giappone. Il patto tripartito, infatti, non ebbe l’effetto desiderato in quanto gli americani decisero di resistere a ogni richiesta dei giapponesi. Il Giappone continuò imperterrito con la sua linea di espansione attraverso la diplomazia. Ci volle un po’ di tempo, prima che il Giappone richiese una sospensione degli aiuti a Chiang Kai Shek e dell’embargo, in cambio di vaghe promesse su un’evacuazione dall’Indocina. Quando il principe Konoye diede le dimissioni, il generale Tojo assunse la carica di Primo Ministro e aprì la strada verso la guerra.
Giappone e Usa: il conflitto tra le due potenze
Nel novembre del 1941, il Giappone tentò di sottoporre due progetti agli americani: uno che richiedeva il riconoscimento della dominazione giapponese nella Cina settentrionale e l’altro che prevedeva il ristabilimento degli scambi tra Giappone e Stati Uniti. Seguirono mesi e mesi di negoziazioni tra Washington e Tokyo, ma non portarono a niente, così il Giappone decise di attaccare gli USA, sperando che ritirassero l’embargo e di conquistare definitivamente la zona orientale. Il 7 dicembre 1941 i giapponesi attaccarono a sorpresa la base navale di Pearl Harbor, nelle Hawaii. Il bombardamento durò due ore e produsse un numero ingente di perdite umane, più di 2.400. Tuttavia, i giapponesi non raggiunsero il loro obiettivo, in quanto le portaerei che volevano colpire, avevano lasciato l’isola pochi giorni prima.
Anche se il popolo nipponico sapeva che non sarebbe stato in grado di sopportare una lotta prolungata con gli USA, che fino a quel momento avevano assunto una posizione neutrale nella seconda guerra mondiale, sperava che gli Stati Uniti di fronte a questa sconfitta avrebbero negoziato per permettergli di occupare tutta la Cina. Tuttavia, gli Stati Uniti rifiutarono ancora una volta e dichiararono guerra al Giappone, portando quest’ultimo nella spirale degli eventi che hanno condotto questa grande potenza alla resa, a favore degli Stati Uniti.