Uber Eats, la verità sull’Amministrazione giudiziaria e sulle accuse di caporalato

Troppe semplificazioni giornalistiche hanno provocato forti inesattezze nella comprensione della vicenda giudiziaria di UberEats. Parlano per la prima volta l'amministratore giudiziario, Cesare Meroni, e due coadiutori, Fabio Cesare e Marcella Vulcano.

La vicenda giudiziaria di Uber Eats è ormai nota a tutti.

La popolarità del brand di delivery e i dettagli emersi sulle condizioni di lavoro dei cosiddetti riders hanno reso l’inchiesta della Procura di Milano una di quelle su cui i giornali si accaniscono, sapendo di incontrare l’interesse del pubblico.

Ma è proprio lì che spesso si insinua quella che in gergo è detta “semplificazione giornalistica”. Ed è così che nel racconto delle vicende giudiziarie, come quella di Uber Eats, si insinuano delle inesattezze, che rischiano di distorcere la verità.

Per la prima volta da quando sono stati nominati dal Tribunale di Milano, parlano – in esclusiva per Notizie.it – l’Amministratore Giudiziario, il dottor Cesare Meroni, e i due coadiutori, gli avvocati Fabio Cesare e Marcella Vulcano. Con loro ripercorriamo l’intera vicenda per fare chiarezza.

Il NON commissariamento di Uber Eats

Nel maggio del 2020, su proposta della Procura, la Sezione Autonoma delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto con decreto la misura dell’amministrazione giudiziaria per Uber Italy Srl, società che opera con due linee di business, quella del delivery food e quella, residuale, del noleggio con conducente.

La notizia viene subito rilanciata da giornali e TV come “il commissariamento di Uber Eats”, ma – in realtà – non si tratta affatto di questo. «La misura disposta – spiega l’avvocato Marcella Vulcano – non è in alcun modo una forma di commissariamento della società, bensì una forma di prevenzione patrimoniale prevista dall’art. 34 del D. Lgs. 159/2011 (il cosiddetto “Codice Antimafia”)».

«La finalità delle misura – aggiunge l’avvocato Vulcano – non è infatti repressiva, non è diretta a punire l’imprenditore, ma è preventiva, ossia diretta a sottrarre imprese sane dal possible coinvolgimento in condotte antigiuridiche, sotto il controllo dell’amministratore giudiziario che non sostituisce chi rappresenta la società». Il Tribunale di Milano ha quindi ritenuto che Uber Italy Srl avesse potuto, nell’esercizio delle sue attività, agevolare alcuni soggetti indagati per caporalato.

A chi sono rivolte le accuse di caporalato?

È qui che si insinua l’altra grande semplificazione giornalistica che ha generato errore nell’opinione pubblica: a essere indagata per caporalato (ovvero il reato previsto all’articolo 603bis del Codice Penale, che intende sanzionare chi “recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”) non è Uber Italy Srl, bensì società terze a cui questa aveva affidato la gestione dei riders.

«Uber Italy Srl – spiega l’Amministratore giudiziario Cesare Meroni – fornisce, oltre al servizio di noleggio con conducente, servizi di intermediazione digitale, fatturazione e pagamento ai ristoranti e servizi di consegna ai clienti persone fisiche. La consegna è effettuata dai corrieri (i cosiddetti riders, appunto) che ricevono domande di consegna tramite l’applicazione Uber Eats. L’applicazione Uber Eats permette agli utenti di ordinare del cibo presso ristoranti disponibili sull’applicazione e di riceverli all’indirizzo indicato».

In una prima fase della sua attività, Uber appaltava la gestione dei riders a società terze che si occupavano del loro arruolamento e della loro retribuzione. Queste società sono state indagate per caporalato. «Peraltro – aggiunge l’avvocato Fabio Cesare – quando è nata l’inchiesta, Uber aveva già interrotto i rapporti con queste società, a causa di una variazione del proprio modello di business».

«Quello che il Tribunale di Milano ha quindi ritenuto, nell’ambito dell’inchiesta della Procura, è che Uber Italy, per quanto estraneo alle condotte illecite dei soggetti indiziati, potesse aver agevolato la loro attività a causa di un omesso controllo e di una grave deficienza organizzativa sul piano di una reale autonomia rispetto alla casa madre olandese», spiega l’avvocato Vulcano. Uber avrebbe quindi agevolato l’attività illecita delle società indagate non con la precisa volontà di farlo, che sarebbe quindi una sorta di complicità, ma perché non si era dotata dei necessari “anticorpi” e dei sistemi di controllo necessari per evitare di farlo.

Ed è per questa carenza che il Tribunale ha disposto l’Amministrazione giudiziaria.

Le finalità dell’amministrazione giudiziaria

«Le finalità della misura – spiega Fabio Cesare – sono tese essenzialmente all’analisi dei rapporti esistenti tra Uber Italy Srl e le altre società della galassia Uber, sempre nel perimetro della gestione dei “riders”; all’analisi dei rapporti con i “riders”; alla verifica dell’esistenza di forme di sfruttamento di lavoratori esterni; alla verifica dell’esistenza e dell’idoneità del modello organizzativo previsto dal D.

Lgs. 231/2001 per prevenire fattispecie di reato ricollegabili all’art. 603 bis c.p.».

«L’attività – commenta il dottor Cesare Meroni – si è caratterizzata sin dal primo contatto con un fitto dialogo con la Società e con svariati interlocutori, interni ed esterni: il legale rappresentante e il Public Policy Manager di Uber Italy, i legali dello Studio Bonelli Erede incaricati dalla Società,i Dipendenti, i componenti dell’Organismo di Vigilanza, l’associazione datoriale Assodelivery, la Prefettura, le organizzazioni sindacali, i ristoranti clienti di Uber Italy Srl e tutte le altri parti».

Uber Italy Srl si è quindi subito dimostrata efficacemente propositiva e collaborativa nei confronti dell’Amministrazione giudiziaria, che infatti deve lavorare in collaborazione e non in conflitto, almeno laddove possibile, con la società. Ed è grazie a questa collaborazione che in 7 mesi di amministrazione giudiziaria si sono raggiunti diversi e importanti traguardi.

I risultati dell’Amministrazione giudiziaria

«A sette mesi dall’inizio del nostro intervenuto – spiega l’avvocato Vulcano – l’azienda sta adottando tutte le prescrizioni da noi formulate, dotandosi di Modello Organizzativo, di Gestione e Controllo ex D.Lgs.

231/2001 volto non solo ad a evitare possibili situazioni di illegalità simili a quelle per le quali è stata adottata la misura dell’amministrazione giudiziaria, ma anche a prevenire una serie di eventi-rischio a cui potrebbe essere esposta la Società negli ambiti di attività specifici, tenuto conto anche di eventuali attività esternalizzate a società del Gruppo».

«Il Modello Organizzativo 231 – aggiunge l’avvocato Fabio Cesare – prevede il divieto di impiego di società terze per la gestione dei riders e, laddove dovesse rendersi necessario, è previsto uno specifico procedimento che coinvolge più organi e funzioni per l’individuazione del partner e un’attenta verifica sui fornitori».

Il protocollo sperimentale di legalità

«Questo processo – spiega il dottor Cesare Meroni – si inserisce nel solco tracciato dal Protocollo sperimentale, sottoscritto lo scorso 6 novembre da Assodelivery, associazione rappresentativa dell’industria del food delivery italiana, che annovera tra i propri componenti Deliveroo, Glovo, Just Eat (recentemente uscita da Assodelivery) SocialFood e Uber Eats e dalle organizzazioni sindacali.

Il Protocollo di legalità, a cui ha contribuito l’amministrazione giudiziaria di Uber, è stato promosso dal Tribunale di Milano – Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano – Ufficio Misure di Prevenzione e dalla Prefettura di Milano. Il Protocollo, intende contrastare il caporalato e ogni forma di sfruttamento lavorativo nel settore delivery, attività che è attualmente in forte espansione, per elaborare e porre in essere strumenti efficaci a sostegno dei diritti dei lavoratori e dell’economia legale nel settore di riferimento».

Tutte le società aderenti ad Assodelivery si sono quindi impegnate ad adottare il Modello Organizzativo 231 e il Codice Etico entro sei mesi dalla stipula del protocollo e si sono impegnate a designare, entro lo stesso termine, un rappresentante nell’ambito dei componenti del proprio Organismo di Vigilanza costituito ai sensi della ai sensi del d.lgs. 231/2001 che andranno a costituire un Organismo di Garanzia in seno alla Prefettura di Milano.

Il ruolo di Uber in Assodelivery

«Siamo particolarmente soddisfatti – conclude l’avvocato Fabio Cesare – del nuovo ruolo assunto da Uber all’interno di Assodelivery il cui Consiglio Direttivo ha voluto affidare la Vicepresidenza al Public Policy Manager di Uber, conferendogli, altresì, la delega ai rapporti sindacali. L’estensione del Protocollo di Legalità a tutto il territorio nazionale è uno dei principali obiettivi riposti vicepresidente di Assodelivery e che, se attuato, rivelerebbe una volontà di garantire una regolamentazione del settore attraverso l’attuazione di strumenti efficaci a sostegno dei diritti dei lavoratori e dell’economia legale».

«L’auspicio – aggiunge l’avvocato Marcella Vulcano – è che il positivo percorso di legalità intrapreso da Uber conduca la Società a posizionarsi sul mercato con una elevata connotazione etica ed a svolgere, anche in seno ad Assodelivery, una funzione di trascinamento dei competitors verso un percorso condiviso di crescita nella legalità e nel rispetto dei diritti dei lavoratori e quindi verso un nuovo assetto di mercato che disconosca ogni forma di sfruttamento del lavoro».