Ti svegli un sabato mattina, visto che vivi a Milano il sabato del ponte di Sant’Ambrogio e dell’Immacolata, convinto che questo sia un giorno di festa.
Ti prepari una moka, guardando lo skyline di quella che ormai da ventuno anni è diventata la tua città. Uno skyline che ha sostituito il profilo importante del Monte Conero, tu nato in Ancona, il mare a fare da costante colonna sonora e le colline, tutto intorno, a fare da cornice. Guardi i social, per sapere a chi fare gli auguri, aggiornarti sulle ultime dalla prima della scala, al limite per seguire qualche sfottò dei tifosi della Juventus verso i tifosi dell’Inter.
Invece vedi che Ancona, la tua città natale, è prima nei trend topic di Twitter. Lo capisci subito che non è un bel segno. Sai, non hai ricevuto telefonate allarmanti nel cuore della notte, che non è un terremoto, qualcosa che in qualche modo possa aver riguardato direttamente la tua famiglia, ma sai per esperienza personale che se Ancona finisce lì, in cima all’interesse della nazione, significa solo qualcosa di brutto, di tragico.
Un omicidio, pensi, come è successo qualche anno fa quando quei due fidanzatini hanno ucciso i genitori di lei. Niente di buono insomma.
Ma le cattive notizie sono peggio di come le pensi, direbbe Fossati. Infatti scopri, con sgomento, che nella notte a Corinaldo, un bellissimo borgo a pochi chilometri dalla città in cui sei nato, si è consumata una tragedia incredibile, agghiacciante. Sei persone sono morte, centoventi sono rimaste ferite, tredici in codice rosso.
Il tutto, e la notizia, se possibile, diventa ancora più agghiacciante, in una discoteca, La Lanterna Azzurra, dove oltre mille ragazzini erano accorsi per seguire il concerto di Sfera Ebbasta, campione italico della trap. Le dinamiche dell’accaduto non sono chiare, ma non è di cronaca che ti occupi. Sembra che qualcuno abbia spruzzato uno spray urticante al peperoncino all’interno della discoteca, verso l’una di notte, mentre ancora Sfera Ebbasta non era salito sul palco.
Il panico generato dall’odore acre avrebbe spinto, tocca usare il condizionale, i ragazzini verso le uscite di sicurezza. Nei fatti una volta usciti, infilatisi in una sorta di imbuto, sarebbero precipitati nel vuoto, complice un muretto che non avrebbe retto il peso della calca. Cinque ragazzini e la mamma di uno di questi morti sul colpo. E il resto di cui si è già detto. Ragazzini, adulti, gente accorsa in un luogo preposto allo svago per seguire un concerto.
Per divertirsi. Per rilassarsi. Per gioire. Gente che invece ha trovato la morte, la propria o quella dei suoi cari, o di qualcuno che semplicemente si trovava nello stesso posto per assistere a qualcosa di bello, di emozionante, da ricordare.
Ora, verrebbe da tirare una qualche morale. Qualcosa che tiri in ballo il fatto che non si può morire così, mentre ci si dovrebbe divertire. Tirare in ballo anche delle responsabilità, perché di responsabilità sicuramente ce ne sono.
Quelle dell’eventuale idiota che ha usato lo spray, come già era successo in precedenza, al concerto di Achille Lauro, altro artista trap. Forse quelle dei proprietari del locale, che, stando a dichiarazioni confuse di alcuni ragazzini giunti feriti all’Ospedale di Ancona, avrebbero lasciato le uscite di sicurezza bloccate. O anche quelle di chi era preposto alla sicurezza, che ha permesso a un idiota di entrare in un locale con uno spray urticante.
Ma non è questa la sede.
Come non è questo il momento di dire che è innaturale che ragazzini delle medie, forse poco più grandi, debbano aspettare oltre l’una di notte per assistere a un concerto, complice quella che viene chiamata la doppietta, ovvero una doppia data di un artista nella stessa serata, tanto per fare il doppio del cachet. Che i ragazzini, all’una di notte, dovrebbero stare al sicuro, a casa, a dormire.
Ma sono tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano. Perché di fronte all’imponderabilità della morte ci sono poche parole che trovino un senso.
E la morte non deve e non può lasciare posto a giudizi sommari, dettati più dal cuore o dallo stomaco che dal cervello.
Sei persone hanno trovato la morte laddove avrebbero voluto celebrare la vita.
Chi questa celebrazione aveva pensato, si tratti di Sfera Ebbasta, che di lì a poco avrebbe cantato, si tratti del promoter che ha dato vita alla data, del locale che l’ha ospitata, dei buttafuori che hanno fatto entrare gente con ipotetici spray urticanti, del ragazzino che forse con un gesto che ai suoi occhi avrebbe dovuto far ridere e invece ha generato una tragedia immane, tutti loro, tutti noi, siamo rimasti impigliati in una tragedia che, come tale, non potrà che lasciare cicatrici.
Di fronte a tutto questo, in genere, si dice che tocca alzarsi subito, lasciare che la vita vinca sulla morte. Un po’ come è accaduto a Torino, dopo la tragedia di piazza San Carlo, anche lì generata da un gesto stupido e dalla cattiva gestione, un po’ come è successo al concerto di Ariana Grande a Manchester, dove invece era stata la mano di un terrorista a accendere il fuoco della tragedia.
Tutto vero. La vita deve vincere. Ma oggi è tempo di silenzio. Di dolore. Di lutto.
Da domani partiremo coi ragionamenti. Oggi no. Con gli occhi velati di lacrime il mondo non può apparirci che appannato, esattamente come il nostro cuore.