Preoccupazione e richieste di chiarimento arrivano dall’europarlamentare Cecilia Strada e dalla deputata del Pd Rachele Scarpa dopo la visita al Cpr di Gjader, in Albania, dove saranno trasferiti i migranti intercettati in mare dalle autorità italiane. Secondo quanto riportato dalle due esponenti politiche, mancherebbero all’appello sedici persone. Una situazione che solleva interrogativi sulla gestione delle strutture e sulla tutela dei diritti fondamentali dei migranti coinvolti.
Le condizioni dei migranti nei Cpr
Come riportato da Il Manifesto, all’interno del centro si registrerebbe un’escalation di tensioni: si susseguono proteste, episodi di violenza tra i trattenuti, gesti autolesivi e tentativi di suicidio. Le condizioni riportate ricordano quelle già denunciate nei Cpr presenti in Italia, tra maltrattamenti, gestione repressiva delle crisi e frequente somministrazione di psicofarmaci.
In questo caso, però, la situazione appare ancora più critica, poiché tutto avviene in un Paese straniero, con un sistema sanitario meno accessibile e standard diversi rispetto a quelli italiani, e con distanze geografiche che rendono ancora più difficile il contatto diretto con i propri cari.
Cpr Albania, la denuncia di Strada e Scarpa
“Dove sono gli altri 16? Nessuna informazione ufficiale è stata fornita in risposta alle nostre domande, né tantomeno ai diversi accessi agli atti effettuati, perciò lo dobbiamo dedurre incrociando informazioni pubbliche, registro degli eventi critici, informazioni provenienti dai legali”, affermano l’europarlamentare Cecilia Strada e la deputata del Pd Rachele Scarpa.
Secondo quanto riferito dalla delegazione guidata da Cecilia Strada e Rachele Scarpa, oltre alla prima persona trasferita in Albania nel pomeriggio dell’11 aprile e rientrata in Italia la mattina successiva senza nemmeno essere entrata nel Cpr di Shengjin, altre 15 persone risulterebbero mancanti all’appello.
La delegazione ritiene verosimile che sei di loro siano state riportate in Italia per mancata convalida del trattenimento da parte della magistratura, mentre cinque sarebbero state giudicate non idonee alla vita in comunità ristretta a causa di episodi di autolesionismo o gravi criticità sanitarie. Altri quattro migranti, infine, sarebbero stati rimpatriati nel Paese d’origine, ma anche loro sarebbero stati prima riportati in Italia per l’esecuzione delle procedure di espulsione.
A detta dei parlamentari, il trasferimento in Albania avrebbe rappresentato non solo un’inutile sofferenza per i migranti coinvolti, ma anche un costo evitabile per le casse pubbliche italiane.