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Il caso di Simone Niort: una storia di sofferenza e abbandono
La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha messo in luce una situazione allarmante riguardante i diritti umani in Italia. Il caso di Simone Niort, un giovane detenuto con gravi problemi psichiatrici, ha sollevato interrogativi sulla gestione della salute mentale all’interno delle carceri italiane. Arrestato nel 2016, Niort ha trascorso otto anni in carcere, durante i quali ha tentato il suicidio circa venti volte e ha compiuto atti di autolesionismo. La Corte ha stabilito che le autorità italiane non hanno rispettato il diritto alla salute e alle cure mediche, violando così le normative europee.
Le responsabilità delle autorità italiane
Secondo il legale di Niort, Antonella Calcaterra, la Corte ha evidenziato che le autorità nazionali non hanno valutato adeguatamente la compatibilità dello stato di salute del detenuto con la detenzione. In particolare, un provvedimento giudiziario che ordinava il trasferimento di Niort in una struttura penitenziaria più idonea non è stato eseguito. Questo errore, come riportato, è stato di natura procedurale, poiché l’ufficio di Sorveglianza avrebbe dovuto consultare l’autorità sanitaria competente, piuttosto che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap).
Le conseguenze della carenza di strutture adeguate
La mancanza di strutture adeguate per la cura dei detenuti con problemi psichiatrici ha portato a una situazione insostenibile per Niort. Costretto a rimanere in una cella “liscia” o di transito, il giovane è stato isolato e privato di qualsiasi attività educativa. Questa condizione non solo ha aggravato il suo stato di salute mentale, ma ha anche sollevato interrogativi sulla capacità del sistema penitenziario italiano di garantire i diritti fondamentali dei detenuti. La sentenza della Corte europea rappresenta un campanello d’allarme per le autorità italiane, che devono affrontare la questione della salute mentale in carcere con urgenza e responsabilità.