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Il verdetto della Corte d’Assise d’Appello
La recente sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino segna un momento cruciale nella lotta contro le conseguenze devastanti dell’amianto. Stephan Schmidheiny, magnate svizzero e unico imputato nel processo Eternit bis, è stato condannato a 9 anni e sei mesi di reclusione per omicidio colposo.
Questo verdetto arriva dopo un lungo e complesso iter giudiziario, che ha visto la Corte assolvere Schmidheiny per i reati già prescritti, ma riconoscere la sua responsabilità per la morte di 392 persone a Casale Monferrato, tra cui cittadini e lavoratori.
Le accuse e la difesa
La Procura generale aveva chiesto una condanna per omicidio con dolo eventuale, ma i giudici hanno optato per l’omissione di responsabilità più leggera, quella di omicidio colposo. La difesa, rappresentata dagli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, ha sostenuto che il processo penale non fosse lo strumento adeguato per affrontare la questione dell’amianto. Durante l’arringa, è emersa l’importanza di dimostrare un collegamento diretto tra l’esposizione all’amianto e l’attività dell’imputato, sottolineando la necessità di rigore nella diagnosi di mesotelioma.
La reazione delle vittime e delle associazioni
Bruno Pesce, cofondatore dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’amianto AFeVa, ha espresso soddisfazione per la conferma della condanna, sottolineando che questo rappresenta un passo importante verso la giustizia. “La conferma della condanna è il dato più rilevante; 9 o 12 anni è un dato relativo, ma significa che la giustizia si afferma”, ha dichiarato Pesce. Tuttavia, ha anche evidenziato la necessità di attendere le motivazioni della sentenza per comprendere le esclusioni e ha espresso la speranza che la condanna venga mantenuta anche in Cassazione.