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Condannato all'ergastolo un pizzaiolo italiano 75enne che 29 anni fa uccise la ex in Svezia

Condannato all'ergastolo dopo 29 anni

Ergastolo per un pizzaiolo italiano che uccise la ex in Svezia 29 anni fa

È stata emessa la condanna all’ergastolo da parte del Tribunale di Imperia, trascorsi 29 anni, per un pizzaiolo italiano di 75 anni, originario di San Sosti (Cosenza) e tornato a vivere dalla Svezia a Sanremo, accusato del femminicidio della ex che all’epoca aveva 21 anni. La giustizia italiana lo avrebbe quindi condannato per omicidio volontario aggravato dai motivi abbietti per l’uccisione di Sargonia Dankha, 21 anni, irachena naturalizzata svedese, sparita nel nulla nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995 a Linköping, in Svezia. Il cadavere non è mai stato ritrovato e i parenti della vittima si sono rivolti alla giustizia italiana dopo che quella svedese aveva deciso di chiudere il caso.

Dopo 29 anni, la condanna all’ergastolo

“È stata davvero una grande soddisfazione: per noi, per il nostro ufficio e, mi piace dire, forse esagero, per l’Italia, che ha saputo dare una risposta di giustizia dopo tanti anni a una famiglia colpita da un fatto gravissimo“, queste le dichiarazioni del pubblico ministero Maria Paola Marrali al termine del processo. Nonostante il corpo della vittima non sia mai stato ritrovato, la giustizia ha seguito l’esempio di altri casi analoghi, come quello di Roberta Ragusa. Durante la requisitoria, il pm aveva citato la sentenza della Cassazione nel caso Logli: Non è morte accidentale, altrimenti avremmo trovato il corpo, e allora è sicuramente una morte omicidiaria”. L’avvocato Francesco Rubino, in rappresentanza della famiglia Dankha, si è espresso con soddisfazione in merito alla sentenza: “Le speranze c’erano, però è evidente che nel corso di un processo e di un’indagine ci sono tanti momenti in cui le cose possono andare bene o meno bene. L’importante è avere ben chiaro un obiettivo finale, e noi pensavamo di averlo, senza nessun tipo di problema, nel dover andare avanti”.

La gravità del contesto del delitto

L’avvocato ha inoltre ricordato il lungo iter investigativo e processuale: “Eravamo convinti che la Corte avrebbe creduto alle nostre ricostruzioni, che ci fossero prove sufficienti e che il grandissimo lavoro dei poliziotti nel 1995, della procura d’Imperia e poi nostro, per fare aprire questo processo, fosse alla fine riconosciuto”. Rubino infine ha sottolineato la gravità del contesto del delitto: “È stato riconosciuto non solo che Aldobrandi ha commesso un omicidio, ma che l’ha commesso in circostanze particolari, cioè coi motivi abietti: una costante relazione caratterizzata dal possesso e dall’ossessione, quello che ha determinato oggi l’ergastolo”.