I verbi sovrabbondanti sono quei verbi che possono avere più forme e non limitarsi ad un’unica dicitura. Quante volte ci siamo soffermati su alcuni verbi chiedendoci quale fosse il miglior modo per scriverli o pronunciarli? Un quesito che rimane aperto e cercheremo di sciogliere è quello se si dice bolle o bollisce.
I verbi sovrabbondanti: la difficoltà dell’Italiano
La grammatica italiana è molto complessa, può capitare frequentemente di avere dei problemi e questo perché si hanno delle indecisioni su delle parole o dei verbi. Per quanto riguarda i verbi ne esiste un particolare tipo, i verbi sovrabbondanti, che hanno la particolarità di avere la stessa radice ma appartengono a due coniugazioni diverse. Tra questi ne esistono due tipi a seconda se il significato cambia o meno.
I verbi sovrabbondanti che non cambiano significato possono essere entrambi usati in una frase senza commettere un errore perché indicano la stessa cosa pur variando leggermente tra loro. Ciò che li distingue sono le diverse desinenze nell’infinito presente. Alcuni esempi di verbi sovrabbondanti che non cambiano di significato sono: starnutare e starnutire, annerare e annerire, compiere e compire, dimagrare e dimagrire, adempiere e adempire. Tutti questi verbi hanno la stessa radice e lo stesso significato ma appartengono a coniugazioni diverse. Alcuni di questi verbi non sono di uso comune, alcuni perché usati in passato e ormai inutilizzati ed altri perché usati in contesti linguistici ristretti. Quante volte abbiamo sentito l’uso di verbi come annerare e dimagrare?
Un altro caso di verbi sovrabbondanti sono quelli che cambiando la coniugazione e la desinenza cambiano anche di significato. Alcuni esempi possono essere: arrossare, che significa rendere rosso e arrossire che significa diventare rosso. Oppure assordare che significa rendere sordo e assordire, diventare sordo. Tra questi un verbo sovrabbondante poco usato è imboschire che significa piantare gli alberi in un bosco mentre è d’uso comune imboscare, cioè nascondere.
Proviamo a scrivere delle frasi con degli esempi di verbi sovrabbondanti che con forme diverse per comprendere il diverso risultato che si ha a livello di significato. Mi farai impazzire se continui così. A Rio de Janeiro impazza il carnevale.
Una domanda sorge spontanea: si dice bolle o bollisce?
Può capitare di trovarsi davanti ad un dubbio su quale sia la forma di un verbo sovrabbondante da usare. Innanzitutto si tratta di mettere un po’ d’ordine nella nostra mente. Alcune volte la scelta verterà sulla forma più adatta ad un determinato contesto, altre volte la forma d’uso comune e non quella passata in disuso, a volte può essere indifferente usarle entrambe.
Nella grammatica italiana esistono numerosi verbi della terza coniugazione che terminano in –ire che usano al presente indicativo e all’imperativo la sequenza –isc. Ad esempio il presente indicativo di capire è capisco, capisci, capisce. Tra questi ci sono dei verbi sovrabbondanti che adottano due differenti forme pur mantenendo inalterata la coniugazione e la desinenza. Alcuni esempi di questi verbi sono: aborrire, nutrire e mentire. Alla prima persona singolare si coniugano rispettivamente aborro o aborrisco che sono entrambi d’uso comune e usati indifferentemente. Mentre nutrisco e mentisco sono forme più desuete ma esistenti nella lingua italiana. Tra questi verbi sovrabbondanti sono presenti dei casi ancora più rari con delle forme non più in uso, di cui si trovano delle rare tracce nella storia della letteratura nostrana. Sono i verbi cucire e bollire con le coniugazioni bollisce e cucisce.
Per esempio su di un libro abbiamo trovato scritto: “Io normalmente bollisco sempre l’acqua prima di berla”. È corretto quel “bollisco”? Per rispondere a questo quesito bisogna ricordare che il verbo bollire, in tempi molto passati, aveva una particolarità: accettare le diverse forme in “-isc-o” (esso appartiene alla nutrita schiera dei verbi sovrabbondanti, che hanno la particolarità di avere più forme).
Se si prendono come fonti le digitalizzazioni dei testi del Duecento e Trecento, i mille volumi che vanno dal Duecento all’inizio del Novecento archiviati dalla Biblioteca Italiana Zanichelli e i cento romanzi italiani del Novecento si troveranno soltanto un esempio con il verbo bollisce e uno con cuciscono. Il primo si troverà in un’opera di Tommaso Garzoni e il secondo in un racconto di Carlo Dossi. Questo sta ad indicare lo scarso uso che si è fatto nella storia della forma in –isco del verbo bollire. Abbiamo addirittura il caso di una grammatica italiana di repertorio dell’Ottocento che non fa alcuna menzione dell’uso di queste possibili forme del verbo bollire, neppure per sconsigliarne l’uso.
Bisogna comunque far notare che oggi alcune moderne grammatiche riconoscono l’esistenza di queste forme particolari dei verbi sovrabbondanti pur consigliandone vivamente l’alternativa senza l’infisso “isc-“. Questo è evidente perché, oggi, a nessuno verrebbe più da dire che l’acqua “bollisce”.
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