Milano, 21 mar. (Adnkronos Salute) – Quanto inquina il bisturi? Non poco, secondo i dati raccolti da un team di ricercatori: le sale operatorie utilizzano da 3 a 6 volte più energia per spazio occupato rispetto al resto dell'ospedale e generano circa un terzo dei rifiuti ospedalieri. I test preoperatori e postoperatori, i farmaci, le forniture dei vari materiali da utilizzare durante l'attività chirurgica generano emissioni di CO2, in quanto devono essere fabbricati, trasportati, e producono rifiuti. Insomma, le sale operatorie sono una fonte significativa che contribuisce all'impatto ambientale totale della sanità. E solo negli Usa l'assistenza sanitaria è responsabile di circa l'8,5% delle emissioni di CO2, con gli ospedali che contribuiscono per circa il 36% di tutte le emissioni del settore. Il quadro è stato tracciato da 3 esperti canadesi in un focus pubblicato online su 'Jama'.
Gli autori Wendy Levinson, Irene Chang e Sarah Ward dell'university of Toronto in Canada suggeriscono che apportare alcune modifiche sul fronte dell'assistenza chirurgica potrebbe "migliorare significativamente la salute dell'ambiente, riducendo le emissioni nelle fasi preoperatoria, intraoperatoria e postoperatoria". Ci sarebbe apertura su questo? Da una revisione sistematica di 14 studi in 8 Paesi, citata dagli esperti, è emerso che "l'82% di 130 chirurghi ha dichiarato di essere disposto a cambiare la propria pratica clinica per ridurre gli effetti delle cure chirurgiche sull'ambiente". Nonostante questo, però, i metodi per ridurre le emissioni di CO2 non sono ancora routine, in parte per un gap di conoscenza. "Sensibilizzare sulla gestione delle risorse e diffondere raccomandazioni per ridurre le cure di basso valore" serve, e "ha portato a una diminuzione del 10% in 8 indicatori di uso eccessivo di test e trattamenti in tutto il Canada su un periodo di 5 anni".
Nel Regno Unito è stato proprio dichiarato un obiettivo: il Servizio sanitario nazionale (National Health Service, Nhs) mira a raggiungere lo stato di zero emissioni nette nell'assistenza sanitaria entro il 2045. Net zero (o neutralità carbonica) è una situazione in cui la quantità di anidride carbonica emessa è uguale alla quantità rimossa dall'atmosfera. Tra il 1990 e il 2019, l'assistenza sanitaria in Gb ha ridotto le emissioni di CO2 del 26%, calo che include una riduzione del 64% delle emissioni per i ricoveri ospedalieri. Quindi, pensando ai medici che potrebbero chiedersi se possono davvero fare la differenza agendo nel loro piccolo gli esperti osservano che "le azioni individuali possono portare a un effetto positivo collettivo".
Ma quali sono le vie per ridurre l'impronta ecologica delle sale operatorie? Gli esperti analizzano una serie di proposte e raccomandazioni. "Qualsiasi modifica alla pratica allo scopo di proteggere l'ambiente dovrebbe garantire" ovviamente "che i risultati siano benefici o neutri per i pazienti", è la premessa. Detto questo, "poiché fino al 30% dell'assistenza sanitaria potrebbe essere non necessaria, ridurre le procedure chirurgiche non essenziali può ridurre le emissioni di carbonio". I membri del team chirurgico possono adottare 5 azioni durante ogni fase dell'assistenza chirurgica per ridurre gli effetti avversi sul clima: valutare se i test e i trattamenti siano realmente necessari; sostituire i trattamenti con alternative a basse emissioni di carbonio; migliorare la qualità tradizionale con l'obiettivo di migliorare un risultato ambientale (un esempio? La riduzione degli strumenti monouso); modificare le pratiche di routine per ridurre le emissioni di carbonio; e sostenere il cambiamento dei sistemi sanitari.
Gli autori dell'approfondimento entrano nel merito di ogni fase del percorso chirurgico. Nel preoperatorio "i medici possono sconsigliare procedure come l'artroscopia del ginocchio nei pazienti anziani con malattia degenerativa delle articolazioni, e astenersi dal prescrivere esami preoperatori non necessari nei casi a basso rischio se è indicata una procedura. Circa il 30% dei pazienti considerati a basso rischio di complicazioni da procedure chirurgiche si sottopongono a elettrocardiogrammi, radiografie del torace ed esami di laboratorio non necessari prima di un'operazione". La pratica di routine può essere modificata, osservano, per esempio concentrando sempre di più le necessarie indagini preoperatorie in un'unica visita ed effettuando alcune valutazioni tramite telemedicina per ridurre al minimo le emissioni legate ai viaggi.
Durante l'intervento poi, proseguono gli autori, "modifiche semplici nelle routine possono contribuire a ridurre gli sprechi complessivi e migliorare lo smaltimento dei rifiuti nelle sale operatorie. I chirurghi dovrebbero rivedere i vassoi chirurgici, rimuovendo gli articoli che vengono usati raramente". Gli addetti ai lavori stimano che il 26% delle forniture sterili monouso aperte per procedure chirurgiche non venga utilizzato, con conseguente sterilizzazione successiva o smaltimento. Gli infermieri di sala operatoria possono astenersi dall'abitudine di scartarli tutti e procedere solo con quelli che sono necessari al momento. Sostituire gli articoli monouso con alternative riutilizzabili, come camici e lenzuola sterili riutilizzabili, riduce significativamente gli sprechi ed è preferibile per l'ambiente, anche dopo aver tenuto conto dell'energia utilizzata per il lavaggio e l'autoclavaggio. Altro esempio: alcuni pezzi della maschera laringea possono essere sterilizzati e riutilizzati più di 40 volte. Infine, un corretto smaltimento dei rifiuti può ridurre l'uso di energia in sala operatoria, se si ha cura di evitare che i rifiuti non contaminati finiscano nei bidoni dei materiali a rischio biologico (destinati a essere inceneriti ad alte temperature secondo un processo ad alta intensità energetica).
C'è poi il nodo dei gas anestetici: alcuni sono gas serra particolarmente potenti. "Il desflurano – evidenziano gli autori del focus – dovrebbe essere eliminato dalle sale operatorie. Alcuni Paesi, tra cui la Scozia, lo hanno vietato il desflurano. Il sevoflurano è ugualmente efficace e quasi 20 volte meno dannoso per l'ambiente". Per ridurre l'uso di agenti inalatori volatili, gli anestesisti possono poi prendere in considerazione alternative anestetiche più sostenibili, come l'anestesia di una regione del corpo piuttosto che totale (ad esempio, anestesia spinale o blocchi dei nervi periferici) e l'anestesia endovenosa, presupponendo pari efficacia clinica.
E dopo la chirurgia? "Ridurre i giorni di degenza ospedaliera postoperatoria non necessari e i test di laboratorio può ridurre le emissioni di CO2 anche in questa fase. Fino al 10% dei letti ospedalieri acuti in Canada e in altri Paesi sono occupati inutilmente, esponendo i pazienti a rischio infezioni, declino fisico dovuto all'inattività e utilizzo di risorse ospedaliere che hanno un impatto sul clima", fanno notare gli esperti. E anche "passare dalle visite di controllo e monitoraggio di routine alla telemedicina riduce i viaggi e le emissioni di carbonio associate". Nel post operatorio, in alcune situazioni potrebbero "non essere necessari guanti monouso, nelle aree dove un'igiene delle mani adeguata è sufficiente per prevenire le infezioni". Uno studio del Regno Unito ha rilevato che venivano utilizzati più di 100 guanti monouso per paziente ogni giorno nell'unità di terapia intensiva, "generando notevoli sprechi", dicono i ricercatori.
Sia i membri del team chirurgico che gli amministratori possono impegnarsi per scelte di acquisto più green e per la riprogettazione dell'ospedale in chiave più ecologica, dicono infine gli autori. I chirurghi possono collaborare per selezionare strumenti chirurgici riutilizzabili e attrezzature per sale operatorie ecologiche, dare priorità a prodotti con meno imballaggi, evitare vassoi chirurgici avvolti in "pellicola blu" in polipropilene non riciclabile, e così via. Il miglioramento dell'uso di acqua ed energia è principalmente responsabilità degli amministratori ospedalieri, ma i medici possono sostenere il cambiamento. Le sale operatorie possono essere pensate con sistemi di riscaldamento e illuminazione a risparmio energetico per ridurre i consumi. Pratiche come il lavaggio mani controllato da sensori, riducono il consumo di acqua. "Per affrontare gli effetti ambientali delle pratiche chirurgiche – concludono gli esperti – è necessaria formazione e collaborazione. I singoli clinici possono implementare piccoli cambiamenti che possono prevenire danni ai pazienti e avere un effetto misurabile anche sulla riduzione dei danni ambientali".