Il 27 dicembre, Chora Media aveva riferito dell’arresto di Cecilia Sala a Teheran, avvenuto giovedì 19 dicembre, con la giornalista detenuta in una cella di isolamento. Dopo aver trascorso 20 giorni nel carcere di Evin, Cecilia Sala condivide ora le difficili condizioni di vita che ha dovuto affrontare durante la sua detenzione.
Cecilia Sala e le condizioni di vita nel carcere di Evin
“Siamo felici che sia tornata a casa, ora registriamo il suo podcast Stories così oggi pomeriggio ci sarà il suo racconto su quello che ha vissuto“, sono le prime parole di Mario Calabresi che a metà mattinata è arrivato a casa di Cecilia Sala.
La giornalista ha spiegato di aver chiesto la Bibbia, presumendo che fosse un libro disponibile in inglese a Evin, aggiungendo che si trattava comunque di un testo molto lungo e che, pertanto, avrebbe richiesto molto tempo durante la giornata.
“Avevo perso il senso del tempo, non sapevo più quando era giorno e quando era notte. Chiusa in una cella stretta e alta, senza letto, con una lampada sempre accesa e una piccola finestrella sul soffitto da cui passava l’aria ma che neanche riuscivo a vedere”.
Riguardo alle telefonate, aveva rivelato di essere costretta a leggere un messaggio, poiché i suoi familiari le facevano delle domande, ma lei non poteva rispondere liberamente per paura che la conversazione venisse interrotta.
“L’ambasciatrice italiana Paola Amadei per quasi venti giorni è stato l’unico volto che ho potuto vedere. Temevo davvero di non reggere più“.
Sala non ha riportato episodi di violenza fisica, ma ha trascorso un periodo di isolamento molto duro con poco cibo: da mangiare aveva solo datteri. La situazione è cambiata due giorni fa:
“Mi hanno spostato in una cella più grande e mi hanno portato gli occhiali. Ero insieme a una donna iraniana che non parlava una parola di inglese, quindi indicavamo gli oggetti nella stanza, lei ne diceva il nome in farsi e io in inglese”.
Cecilia Sala ha svelato che le era stato portato in cella un libro, “Kafka sulla spiaggia”, il romanzo di Haruki Murakami. Inoltre, in quell’occasione le era stato permesso di chiamare nuovamente a casa. Al compagno Raineri disse:
“Daniele, compralo anche te, nella stessa edizione, così lo possiamo leggere insieme, seppure a distanza“.
Nonostante ciò, anche durante i giorni di prigionia la giornalista è riuscita a trovare dei momenti di gioia. A tal proposito, racconta:
“Sono riuscita a ridere due volte: la prima volta che ho visto il cielo e poi quando c’era un uccellino che faceva un verso buffo. Il silenzio è il nemico in quel contesto e in quelle due occasioni ho riso e mi sono sentita bene. Mi sono concentrata su quell’attimo di gioia, ho pianto di gioia“.
Cecilia Sala e il pensiero per gli altri detenuti in Iran
“Ci sono persone che sono in carcere in Iran da moltissimo tempo. Penso a loro moltissimo. Uno dei momenti più complicati è stato a come avrei detto che mi avrebbero liberata a Farzanè, la donna con cui sono stata insieme in cella negli ultimi giorni e che sarebbe rimasta lì”.
Cecilia Sala dopo la liberazione ha spiegato di sentire un senso di colpa verso gli altri detenuti in Iran. Per questo, ha espresso gratitudine verso coloro che, nel loro lavoro, si occupano di chi vive nelle stesse condizioni in cui era lei e che affrontano incarcerazioni molto più lunghe. La giornalista ha pronunciato queste parole, visibilmente commossa, nel podcast pubblicato da Chora Media.