La morte di Camilla Sanvoisin, la venticinquenne trovata morta in casa sua alla Giustiniana (Roma), resta ancora avvolta nel mistero. Gli esami effettuati sul suo corpo dovranno stabilire a che ora è avvenuto il decesso, e cioè la mattina del 13 febbraio o la sera prima. Un elemento da chiarire, per stabilire se la giovane poteva salvarsi e definire eventuali responsabilità del fidanzato Giacomo Celluprica.
Morte di Camilla Sanvoisin: cosa emerge dall’autopsia
La ragazza, figlia del produttore televisivo Axel Egon Sanvoisin, è morta per un arresto cardiocircolatorio, che sarebbe stato provocato da un’overdose. Ciò è quanto emerge dall’autopsia effettuata lunedì 17 febbraio nell’Istituto di medicina legale dell’Università Cattolica al Policlinico Gemelli. Dall’esame non ci sono per ora tracce di droga, anche se saranno necessari almeno 60 giorni per le risposte degli esami tossicologici. Come riferito dal fidanzato agli inquirenti, Camilla avrebbe sniffato la cocaina, la “brown sugar”. L’autopsia stabilirà se, con un soccorso tempestivo, la venticinquenne si sarebbe potuta salvare, fornendo inoltre dettagli sull’orario esatto del decesso. La Procura nel frattempo ha aperto un fascicolo dove il compagno della 25enne è iscritto nel registro degli indagati. I cellulari trovati nell’abitazione sono stati sequestrati per risalire agli ultimi contatti avuti e alle telefonate effettuate quella mattina all’alba quando, al risveglio, il compagno ha dato l’allarme spiegando di essersi svegliato e averla trovata senza vita.
Le dichiarazioni del compagno
Il trentacinquenne ha dichiarato, difendendosi: “Mi dipingono come un mostro ma non mi interessa. La morte di Camilla è una valanga che mi ha travolto, me la porterò dietro per tutta l’esistenza” ha sottolineato Giacomo Celluprica, figlio di un noto gioielliere, intervistato da Repubblica. “Dicono tutti che io sono in stato di arresto, ma non è così. Sono libero – ha aggiunto -. Non so neanche di essere indagato, non so nulla in questo momento. Vorrei dire tante cose ma non posso, capitemi”. Poi si riferisce a quando, quella mattina, la polizia lo ha arrestato accusandolo di detenzione perché avrebbe trovato dosi di metadone maggiori rispetto alle prescrizioni mediche. “È vero, mi hanno trovato del metadone in casa ma era contenuto all’interno di alcune fiale sigillate, che mi erano state regolarmente consegnate. Questa è stata l’unica ragione per la quale mi hanno portato via” precisa. Racconta inoltre della relazione con la ragazza: “Vivevamo insieme, eravamo molto innamorati. Da quando ci siamo conosciuti non è mai passato più di un giorno nel quale siamo stati divisi”. Le indagini della polizia intanto stanno proseguendo, per risalire al pusher che ha ceduto la droga alla coppia nella dose rivelatasi fatale per Camilla.