A quanto pare l’azienda di Renzo Lovato per cui lavorava Satnam Singh, bracciante che ha recentemente perso la vita a Latina, era solita sfruttare i suoi lavoratori, soprattutto se stranieri. Stando a quanto emerso, spesso fingevano di licenziare i pochi dipendenti regolari in modo tale da pagarli pochi spicci a nero e il resto farlo corrispondere all’Inps.
L’azienda del bracciante morto: tra truffe e sfruttamento
L’azienda di Lovato utilizzava ormai da tempo un sistema che sembrava ben congegnato. Assumeva i lavoratori e li faceva lavorare quel tanto che bastava per maturare il sussidio di disoccupazione e poi li licenziava per finta e faceva avviare loro le pratiche per la disoccupazione. Tramite questo stratagemma Lovato pagava in nero i suoi dipendenti, pagandoli pochi spicci, mentre il restante veniva sborsata dall’Inps.
Questo era però un trattamento riservato solo ai lavoratori regolari, mentre i dipendenti stranieri che non avevano a disposizione i documenti, come appunto Satnam Singh, non potevano avere questo privilegio, con il risultato che venivano pagati ancor meno nonostante le lunghe e faticose giornate di lavoro.
La cosa paradossale è che Lovato è stato sotto inchiesta per cinque anni per il reato di caporalato e da diverso tempo sia la sua azienda che i suoi comportamenti nei confronti dei lavoratori erano noti alle autorità, che però fino ad ora non hanno ancora formulato nessuna richiesta di rinvio a giudizio, potendo così continuare a sfruttare i dipendenti senza alcuna conseguenza.