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Nella mattinata di oggi, martedì 2 luglio, i Carabinieri hanno eseguito l’arresto di Antonello Lovato, accusato di omicidio doloso nei confronti di Singh Satnam, morto a Latina il 19 giugno.
Bracciante indiano morto a Latina: arrestato il datore di lavoro
L’arresto è avvenuto sulla base delle conclusioni avanzate dalle consulenze medico-legali, che hanno confutato l’ipotesi di omicidio colposo, contestando ora il reato di “omicidio doloso con dolo eventuale“. Secondo quanto riportato in una nota ufficiale della Procura, il bracciante indiano è deceduto a causa di una grave emorragia e avrebbe potuto essere salvato se fosse stato soccorso tempestivamente. L’autopsia ha confermato che la causa del decesso è stata proprio la copiosa perdita di sangue.
Nel contesto delle indagini, è emerso che il padre di Antonello, Renzo Lovato, era già sotto inchiesta dal 2019 per caporalato e sfruttamento della manodopera.
Bracciante indiano morto a Latina: come è morto
Il 31enne, in Italia senza un regolare contratto di lavoro, aveva perso il braccio destro a causa di un grave incidente avvenuto con un macchinario agricolo. A seguito dell’amputazione non è stato richiesto alcun aiuto, né l’uomo è stato portato in ospedale.
Il datore di lavoro l’ha invece caricato sul proprio van e lasciato in strada davanti alla casa dove viveva con la moglie. L’arto è stato trovato vicino al corpo, dentro una cassetta per la raccolta di frutta e verdura. I paramedici, allertati dalla famiglia, hanno trasferito d’urgenza il bracciante all’ospedale San Camillo, dove è deceduto dopo una lunga agonia.
Le accuse a carico di Antonello Lovato
Il titolare dell’azienda agricola, assistito dai legali Stefano Perotti e Valerio Righi, è indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso.
Dopo essere stato interrogato per diverse ore dai Carabinieri della compagnia di Latina, è stato sottoposto a ulteriori accertamenti. “Senza considerare valutazioni etiche (non rilevanti per il diritto penale)” si legge nell’ordinanza cautelare emessa dal gip di Latina, Giuseppe Molfese “non si può trascurare che l’indagato si è intenzionalmente e volontariamente disinteressato delle probabili conseguenze del suo agire“.