A distanza di quattro anni dall’album “Fire and Sea”, dopo un’intensa attività autoriale, Machweo è tornato alla veste di producer solista l’anno scorso con i singoli “Back Home” e “Nolo Gospel”. Il produttore e dj classe 1992, con sede a Milano, ha portato il suo live elettronico sui palchi e nei festival più importanti in Italia, arrivando a collaborare con artisti come James Holden, ed Emma Jean Thackray.
Dopo i primi due dischi nel 2012 e 2016 per l’etichetta indipendente Flying Kids Records, nel 2018 per l’americana Lefse e nel 2019 per Hyperjazz, e i già citati singoli, ora è il momento di godersi nuova musica prodotta da Machweo: l’1 marzo è uscita “Luminose Voci Confuso Canto”, primo estratto del suo prossimo album, fuori tra qualche mese per Maciste Dischi.
Quando hai deciso di diventare producer?
In realtà non l’ho mai deciso, è successo , in modo casuale e naturale che fare il produttore diventasse una cosa importante nella mia vita e poi un lavoro.
Mi divertivo a fare rework di canzoni conosciute e pezzi ambient che postavo su SoundCloud perché girassero tra i miei amici, era il 2011. Poi i pezzi giravano un po’ oltre la cerchia di amici, alcuni blog di settore ne parlavano, e pian piano è diventata una cosa vera. Non è mai esistito un giorno in cui ho detto “io ora voglio fare il producer”.
Quando hai capito che questa era la tua strada?
Quando ho scoperto quanto mi divertivo a fare musica e ancor di più quando ho scoperto che poteva essere un lavoro. Mi sento molto fortunato. Lo studio è l’unico luogo in cui riesco a vivere il presente e concentrarmi del tutto su quello che faccio, non riuscirei mai a rinunciare a quest’aspetto.
Quali sono tuoi artisti preferiti?
Questa domanda mi mette sempre in difficoltà perché la risposta cambia costantemente, faccio un po’ fatica a rispondere. Nel 2011 però posso dirti che ho visto un live di Shlohmo al Mattatoio di Carpi: era febbraio e fuori nevicava tantissimo; saremo stati in quindici tra il pubblico e io ero ipnotizzato dalla potenza del suo show nonostante fosse una persona da sola, venuta dall’altra parte del mondo, davanti a un computer. Quel momento mi ha fatto appassionare alla produzione musicale più di qualsiasi altra cosa, e ha cambiato la percezione che avevo di cosa poteva essere la musica.
Ricordo quel live in modo estremamente nitido. Se vogliamo trovare per forza dei significati alle cose e se vogliamo dare un valore assoluto ai ricordi forse ha senso rispondere “Shlohmo”, ma rimane una risposta di cui non sono convinto neppure io.
Come definiresti la musica che suoni e produci?
In dieci anni la musica che ho fatto è cambiata enormemente di disco in disco e negli ultimi anni quasi di canzone in canzone. Mi piace pensare che tra tutti i miei lavori ci sia un filo conduttore malinconico, tropicale e organico: ma c’è il grosso rischio che sia una mia illusione.
Qual è il momento che ricordi con più piacere nella tua vita da producer?
Me ne vengono in mente almeno cinque o sei: dalla prima volta che ho ricevuto un mio disco fisico in mano, a quando una canzone su cui ho lavorato è stata presa a Sanremo. Ma forse il ricordo più bello in assoluto è un live disastroso fatto a Milano almeno dieci anni fa in apertura a Fabri Fibra e Marracash. Non i Fabri Fibra e Marracash di oggi: il rap non era ancora una cosa gigantesca come adesso. Mentre facevo il mio set in apertura c’era un gruppo numeroso di fan di Fibra e Marra sotto il palco che ha iniziato a fischiarmi: in realtà avevano ragione loro, non c’entravo niente in quel contesto, era assurdo fare un’apertura elettronica a un live rap.
Ricordo che dal palco era una situazione surreale in cui non sapevo come comportarmi, ma nel dubbio ho continuato a suonare. Dopo un paio di pezzi tutta l’altra parte del pubblico sempre meno timidamente ha iniziato ad applaudire e i fischi andavano via via scemando: è stata la prima volta in assoluto in cui ho pensato “Ok, quello che faccio può davvero piacere a qualcuno”. Ricordo che ero sceso dal palco molto felice di questa cosa. Molto più felice rispetto ad altri achievement più materiali e meno “simbolici” di questo.
E quello più assurdo o imbarazzante?
Ho fatto per tanti anni diversi tour girando con i treni regionali. In una delle date, di non ricordo neppure quale anno, dovevo scendere a Latina per suonare al Sottoscala, e non si sono aperte le porte del treno. Nemmeno alla stazione dopo, né a quella dopo ancora. Ho fatto una grossa fetta del Lazio sul vagone mentre il tizio del locale seguiva il treno in macchina pronto a raccattarmi alla prima fermata utile in cui le porte del treno si sarebbero aperte. Non è imbarazzante ma è stato abbastanza assurdo.
Come trascorri il tempo libero?
Gioco ai videogiochi e vado a pescare, ma ormai ho veramente pochissimo tempo per entrambe le cose.
Come ti rapporti con i social network?
Male, malissimo. Non li capisco. O forse, meglio, li capisco e non mi piacciono, non mi piace quello che sono diventati nel tempo. All’inizio era molto più divertente usarli: ora cerco di rapportarmici nel modo più naturale possibile e provo a non perdermici. I social network e il networking non sono tra le mie skill.
Ci racconti i tuoi prossimi progetti?
Continuerò a fare quello che sto facendo finché ci saranno persone interessate al mio modo di scrivere la musica. Sto lavorando a un disco e inizio a pensare a un tour. Quando e se non ci dovesse essere più interesse continuerò a farlo comunque per me stesso, e troverò un altro lavoro per pagarmi l’affitto e far vivere serenamente me e il mio cane. Nel caso dovesse succedere ho un sacco di idee su cosa potrei fare ma – ovviamente – spero non succeda mai: quello che faccio mi piace tanto.
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