Con “CARE”, il loro secondo album pubblicato lo scorso 29 novembre, i FUWAH tornano a esplorare territori musicali inesplorati, ampliando l’audace sperimentazione che aveva definito il loro debutto, con la pubblicazione nel 2019 del loro primo album, “Eŭropo: sen limoji” (“Europa senza confini”). Nato durante il periodo di isolamento della pandemia, “CARE” riflette una trasformazione personale e collettiva, guidata dal significato di sostegno, vulnerabilità e ricerca di autenticità.
In questa breve intervista, la band composta da Maddalena Ghezzi, Luca Pissavini, Filippo Cozzi e Fabrizio Carriero ci accompagna dietro le quinte della loro nuova opera, rivelando il percorso creativo e umano che ha dato vita a un disco capace di fondere pop, elettronica e jazz in una narrazione sonora tanto eclettica quanto coerente.
Ciao Fuwah, e benvenuti su notizie.it
Quando avete deciso di diventare una band?
Nel 2012 io, Maddalena, e Luca abbiamo cominciato a sperimentare musicalmente insieme. Siamo partiti da un duo contrabbasso e voce nell’ambito della libera improvvisazione. Abbiamo pubblicato due dischi improvvisati e poi ci siamo dedicati alla composizione. In prima istanza abbiamo conosciuto Filippo e poi Fabrizio. Da lì è nata la formazione attuale. Insieme abbiamo scritto Eŭropo: sen limoj e adesso CARE.
Quando avete capito che questa era la vostra strada?
Con Eŭropo: sen limoj (Europa senza confini), abbiamo capito che, sia musicalmente sia umanamente, volevamo esplorare sempre di più. Così è nato CARE.
I vostri artisti preferiti?
Björk, Squarepusher, Maria Grand, Kamasi Washington, Keith Jarrett, Corto.alto…
E i vostri club e festival preferiti?
Quelli in cui c’è rispetto per il genere umano in ogni suo genere e forma. E quelli che davvero danno valore al lavoro dei musicisti, si battono per una programmazione varia, sono attenti alla questione di genere nella musica e, last but not least, che pagano i musicisti equamente. Non ce ne sono molti in giro, anche perché il mondo della musica è in crisi su diversi fronti, soprattutto economici.
Come definireste la musica che suonate e producete?
C’è un’attitudine jazz, soprattutto nei live e nel desiderio di lasciare spazio all’improvvisazione. Ma c’è anche del pop e del rock. Ci piace non essere ristretti da etichette e spaziare. Ci piace rispondere ai tempi in cui viviamo, fare musica che rappresenta il nostro percorso come musicisti e come esseri umani su questo pianeta. Chissà che sound porterà il futuro, non vediamo l’ora di scoprirlo.
Il momento che ricordate con più piacere nella vostra vita da band?
Ce ne sono tanti, soprattutto momenti in cui ridiamo. Forse i più belli sono stati a casa di Luca, dove abbiamo passato tanto tempo insieme a comporre, ascoltare musica e raccontarci cose. Sono stati momenti molto formativi e conviviali.
Quello più assurdo o imbarazzante?
Un momento che ricordiamo sempre con gioia è stato in tour, quando un membro della band, lo teniamo segreto, ha cercato di passare la sicurezza con una confezione famiglia di shampoo.
Come trascorrete il tempo libero?
C’è chi gioca a burraco spesso, chi è esperto di videogiochi e chi ama lo sport, l’aria aperta e il giardinaggio. Indovinate voi chi fa cosa!
Come vi rapportate con i social network?
Bella domanda! Diciamo che alcuni di noi non li usano, altri li usano sporadicamente. Io, Maddalena, mi prendo cura dei social media di FUWAH. Credo che da un lato siano molto utili per promuovere la nostra musica, dall’altro deleteri e deprimenti. La cosa che mi sconvolge è che non importa più quanto uno posti: il pubblico non sembra guardare o assimilare le informazioni. I metodi che preferisco sono avere una newsletter e avvertire le persone su WhatsApp quando c’è un concerto. Mi stupisce quando, dopo aver postato per settimane circa un evento, il pubblico dica: “Ah, ma suonate questa settimana?”. Un’altra cosa che mi fa ridere sono le “regole” non scritte dei social, tipo che uno può condividere una story ma non un post, se no rovina il proprio feed. Social l’ho sempre interpretato come un modo per crescere come comunità di artisti, ma non è sempre così. Anzi, i social media ci rendono meno sociali e più individualisti. Sarà un feed più importante di un concerto di cui facciamo parte? Bah, secondo me no. Anche se, alla fine, l’occhio vuole la sua parte.
I vostri prossimi progetti? Avete date in programma nel futuro prossimo?
Stiamo lavorando con un comune limitrofo a Milano per portare CARE nella loro comunità e per fare un seminario con adolescenti sulla cura e cosa significa per loro. Vogliamo portare CARE in posti non “consueti” per la musica, come ospedali, prigioni, auditorium universitari, ecc. Ci piacerebbe utilizzare questa musica per uscire e scambiarsi cura. Se qualche lettore conosce realtà aperte a questo tipo di scambio, ci potete contattare!