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L’industria automobilistica europea è in fermento. L’obiettivo dello stop alle auto a combustione interna entro il 2035 è ormai dietro l’angolo, ma non mancano i segnali di preoccupazione. A Bruxelles, durante una recente riunione dei ministri dell’Industria, il tema è stato al centro del dibattito.
«Le politiche ambientali devono essere allineate a quelle industriali, o rischiamo di compromettere l’intero comparto automobilistico europeo», ha dichiarato Màrton Nagy, presidente di turno del Consiglio dei ministri UE.
Una riflessione che trova eco anche in Italia, Paese che ha assunto un ruolo di guida proponendo la revisione anticipata delle normative sulle emissioni. Il Ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, in collaborazione con Repubblica Ceca e altri sei Paesi, ha presentato un documento che chiede di anticipare al 2025 la clausola di revisione prevista per il 2026.
Stop alle auto a combustione: Europa divisa tra ambiente e industria
«Non possiamo permetterci una transizione che schiaccia le imprese europee e lascia indietro le famiglie», ha affermato Urso. La proposta italiana si articola in tre pilastri: fondi significativi per le imprese, simili agli incentivi previsti negli Stati Uniti; misure contro la concorrenza sleale cinese, che domina il mercato dell’auto elettrica; supporto economico per i consumatori, affinché l’auto sostenibile non diventi un lusso.
Secondo i dati, il settore automobilistico rappresenta circa il 7% del PIL europeo e coinvolge direttamente o indirettamente 13 milioni di lavoratori. Tuttavia, la transizione verso l’elettrico si sta rivelando più complessa del previsto: le vendite di auto elettriche sono calate del 4,9% nei primi dieci mesi del 2024, mentre quelle ibride sono cresciute del 19,8%, a conferma di un mercato ancora in fase di adattamento.
«I consumatori preferiscono le ibride, ma il passaggio all’elettrico puro richiede tempo e investimenti massicci che molte imprese europee non possono sostenere da sole», ha aggiunto Urso.
Auto elettriche cinesi all’attacco, la concorrenza che preoccupa
A complicare il quadro c’è l’espansione aggressiva delle case automobilistiche cinesi. Mentre Ford annuncia il taglio di 4 mila posti di lavoro in Europa, marchi come BYD, Dongfeng e Geely stanno investendo nel Vecchio Continente non solo con i prodotti e modelli competitivi ma con nuovi stabilimenti. BYD, ad esempio, ha annunciato il suo primo impianto in Ungheria, mentre altri giganti asiatici sono in trattative per aprire impianti in Spagna e Germania.
La strategia cinese non si limita all’elettrico puro, ma punta anche su modelli ibridi plug-in, come la Jaecoo 7, che vanta un’autonomia combinata di 1.300 chilometri grazie a sistemi innovativi di recupero energetico.
«Le case automobilistiche europee si trovano schiacciate tra gli obiettivi climatici e una concorrenza spietata», ha commentato Ursula von der Leyen, annunciando un incontro straordinario con i principali produttori per discutere soluzioni a lungo termine.
Sostenibilità o competitività? L’UE a un bivio
La strada verso il 2035 appare sempre più tortuosa. Se da un lato l’Europa ribadisce il suo impegno per il clima, dall’altro emergono tensioni legate alla sostenibilità economica della transizione. «Servono decisioni coraggiose e rapide, altrimenti rischiamo di perdere competitività e posti di lavoro», ha avvertito Urso.
Nonostante le divergenze, la necessità di agire è condivisa. La crisi del settore automobilistico non è solo una questione di emissioni, ma un banco di prova per il futuro industriale dell’Europa. Come sottolineato dal ministro: «L’innovazione deve essere il ponte tra sostenibilità e competitività. Solo così potremo garantire un futuro solido per il nostro continente».