Anziani discriminati per l'età, 4 su 10 esclusi dalle cure migliori

Roma, 5 apr. (Adnkronos Salute) - "Troppo vecchi e costosi" per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Quattro anziani su 10 sono esclusi dalle ...

Roma, 5 apr.

(Adnkronos Salute) – "Troppo vecchi e costosi" per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Quattro anziani su 10 sono esclusi dalle cure migliori proprio per l’età. Questo stigma accorcia anche la vita: il rischio di mortalità è fino a 4 volte più alto. Lo evidenziano i geriatri, lanciando l'allarme sui bisogni di salute, soprattutto dei grandi anziani, su cui l'Ssn non investe abbastanza risorse.

"Un paradosso – rilevano – frutto di uno stigma grave e inaccettabile sulla base dell'età, che si riflette anche sulla percezione negativa del proprio invecchiamento inducendo la stessa persona anziana a rinunciare all'aderenza alle terapie, a screening e comportamenti preventivi, con gravi effetti sulla salute".

L'ageismo è una questione di rilevanza globale. Secondo uno studio condotto su oltre 80mila persone in 57 Paesi, pubblicato sull'International Journal of Environmental Research and Public Health, una persona su due ha pregiudizi basati sull'età che influenzano anche uno dei settori chiave della vita degli anziani, cioè la sanità, riducendo l'accessibilità alle cure e l'appropriatezza dei trattamenti.

Nasce da qui la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l'ageismo sanitario, messo a nudo e rafforzato anche dalla pandemia, presentato in occasione del congresso 'Anti-ageism Alliance. A Global Geriatric Task Force for older adults' care', organizzato dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società italiana di gerontologia e geriatria (Sigg), che vede riuniti a Firenze oggi e domani, nell'Auditorium della Camera di Commercio, i presidenti delle maggiori società geriatriche del mondo, insieme a esponenti dell'Organizzazione mondiale della sanità e delle Nazioni Unite, esperti di etica e rappresentanti delle associazioni di pazienti.

Il documento – coordinato da Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all'Università di Firenze, presidente del congresso e della Sigg, e da Luigi Ferrucci, direttore scientifico del National Institute on Aging di Baltimora – è stato messo a punto da un panel internazionale di esperti. Pubblicato sull'European Geriatric Medicine e sul Journal of Gerontology, punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l'impatto negativo dell'ageismo nell'assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie.

"In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all'età si ritengono gli anziani già 'titolari di una quantità di vita sufficiente', ormai gravosi per il sistema sociale ed economico. Quasi un effetto collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie, determinando un incremento della coesistenza di più patologie nello stesso individuo – afferma Ungar -E' aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso, la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione in ambito sanitario.

Infatti, nonostante rappresentino la maggioranza dei malati con patologie croniche quasi sempre concomitanti, il 40% degli anziani è tagliato fuori dalle terapie più avanzate e appropriate e dai protocolli sperimentali senza valide ragioni mediche, ma solo in base all'età".

Gli effetti negativi dell'ageismo, sottolinea, "influenzano anche la longevità, con una probabilità fino a 4 volte più alta di morire nelle persone anziane che hanno un'autopercezione negativa dell'invecchiamento rispetto a quanti hanno una visione positiva della vecchiaia.

Interiorizzare stigma e pregiudizi potrebbe essere un nuovo fattore di rischio per una vita più lunga". Lo provano i risultati di uno studio condotto su 5.483 persone di età compresa tra i 50 e 74 anni, pubblicato su The Gerontologist dai ricercatori del New Jersey Institute for Successful Aging, secondo cui gli anziani che hanno atteggiamenti ageisti hanno un rischio di mortalità entro 9 anni fino a 4 volte più alto (45%) rispetto a chi ha una percezione positiva dell'invecchiamento, pur tenendo conto delle variabili demografiche di salute e stile di vita.

"Nella comunità medica – puntualizza Ferrucci – resistono barriere mentali che fanno ritenere poco adeguato il ricorso a nuovi farmaci e alle terapie più innovative, oltre una certa età. Bisogna quindi proteggere gli anziani dalla discriminazione sanitaria e fare in modo che ricevano le cure migliori". "E' inevitabile – ammettono gli esperti – che laddove le risorse sono limitate, si operino delle scelte, ma un paziente anziano curato in maniera inefficace va incontro a ricadute e riospedalizzazioni e deve essere nuovamente trattato con uno spreco di risorse, oltre che di vita e sofferenze individuali".

Le azioni proposte nel manifesto per invertire la rotta puntano innanzitutto alla formazione. Il tema dell'invecchiamento – si chiede – deve diventare parte integrante del percorso formativo del personale sanitario e degli assistenti sociali. "E' necessario anche un cambiamento di paradigma nell'approccio alla cura dell'anziano – prosegue Ungar – che non può essere trattato 'a pezzetti', di volta in volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal geriatra come medico della complessità.

Serve poi dare priorità agli anziani nei pronto soccorso – rimarca – che rappresentano un fattore di rischio per via dei lunghi tempi di attesa e una presa in carico non adeguata, che possono contribuire al declino cognitivo e al peggioramento delle condizioni fisiche".

Il medico deve anche cercare una maggiore condivisione del percorso di cura con il paziente e con i suoi caregiver informandoli correttamente delle possibili alternative, ascoltando con attenzione le loro esperienze.

"I pazienti anziani – chiosa Ferrucci – andrebbero inclusi nei trial clinici per la sperimentazione di farmaci da cui sono tagliati fuori perché ritenuti troppo 'inquinati' dalle loro fragilità, che comporterebbero studi più sofisticati e complessi e maggiori controlli. Vengono invece esclusi, quando sono i primi a far uso di farmaci e terapie. Altrettanto necessario riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più age-friendly, riducendo l'isolamento e l'immobilismo a letto dei pazienti e realizzare device sanitari facilmente utilizzabili anche da chi è più avanti negli anni".