Antica Roma: i quartieri a luci rosse

Prostituzione "povera" e prostituzione d'alto bordo a Roma

satiro menade

Se siete sempre stati convinti che i quartieri del sesso siano un’invenzione moderna, ricredetevi: essi esistevano ed erano attivi già nell’antica Roma, dove erano fin troppo frequentati.

Si trattava di zone della città in cui si trovava facilmente sesso “a buon mercato”: la Suburra, il Velabro e i dintorni del Circo Massimo.

Accomunati da degrado e sovrappopolazione, abitati per lo più, a parte qualche piccolo artigiano, da miserabili e delinquenti di ogni genere, questi cittadini meno fortunati si specializzarono per sopravvivere nella prostituzione più infima, quella “da due soldi”; i più disperati infatti, attraverso il “lavoro” di mogli e figlie, riuscivano a racimolare qualche spicciolo per tirare avanti.

Le professioniste della Suburra sono ben descritte dal grande commediografo Plauto, che le definisce come donne prive del minimo fascino o punto di attrazione, “rifiuti appena adatti a servi coperti di farina, ragazze fameliche dal profumo volgare e appiccicaticcio”, praticamente delle poveracce.

I clienti dei quartieri a luci rosse erano soprattutto schiavi, immigrati, malfattori, ma anche adolescenti, che spesso decidevano di vivere la loro iniziazione proprio con queste “prostitute da due oboli”.

Accanto a povere donne costrette a prostituirsi in tuguri sporchi e malsani, dove tutto ciò che si aveva a disposizione erano alcove squallide e maleodoranti, esistevano le prostitute d’alto bordo, che possiamo paragonare alle etere dell’antica Grecia, le quali, al contrario, conducevano un alto tenore di vita all’interno di lussuose ville dotate di ogni confort situate sull’Aventino; di solito, esse venivano mantenute da romani ricchi o da stranieri che possedevano denaro sufficiente ad “affittarle” per un giorno, un mese o addirittura un anno.