Roma, 17 mag.
(Adnkronos Salute) – L'infarto acuto del miocardio è una delle patologie cardiovascolari più gravi e di complessa gestione, un problema cogente di sanità pubblica: "Ogni anno in Italia si registrano fino a 150mila nuovi casi di infarto miocardico acuto e oltre 25mila pazienti muoiono prima di arrivare al ricovero. Negli ospedali, secondo Agenas – Agenzia per i servizi sanitari regionali, nel 2022 sono state ricoverate circa 110mila persone con questa diagnosi. Grazie alle tecniche di rivascolarizzazione siamo riusciti a migliorare il dato della mortalità entro i 30 giorni, che in passato superava il 15%.
La mortalità fuori ospedale, invece, non è migliorata, perché i pazienti non vengono seguiti in modo adeguato sul territorio e questo porta a una interruzione delle terapie e della riabilitazione cardiologica". Così Furio Colivicchi, past president Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri e direttore Cardiologia clinica e Riabilitazione Ospedale San Filippo Neri di Roma, in occasione del 55esimo Congresso nazionale Anmco in corso a Rimini.
Su quale sia il percorso clinico ideale per la presa in carico e la gestione dei pazienti con infarto miocardico acuto, Colivicchi non ha dubbi: "Dobbiamo distinguere due elementi.
Il primo – spiega – è legato all'arrivo del paziente con infarto in ospedale; il secondo, invece, a quanto accade dopo la dimissione. In genere, gli ospedali italiani sono molto ben attrezzati per la gestione della fase immediata di acuzie. In tutti gli ospedali italiani si è organizzata una rete cardiologica per l'infarto acuto, malattia che è strettamente legata al tempo di intervento, con un miglioramento della prognosi: il paziente viene accolto, subito trasferito nella sala di emodinamica e sottoposto immediatamente ad angioplastica, procedura che ha dimezzato la mortalità negli ultimi 10 anni.
Il problema vero è il 'dopo', cioè la gestione di tutte le condizioni cliniche (diabete, ipertensione, ipercolesterolemia per esempio) che sono state la causa più o meno remota dell'infarto, ma che necessitano di essere trattate nel tempo, affinché tutti i risultati ottenuti durante il ricovero vengano mantenuti".
Su questo terreno "siamo più deboli – fa notare Colivicchi – Il paziente dovrebbe entrare in un Pdta, un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale di medio-lungo periodo, tale da garantire l'aderenza alla cosiddetta prevenzione secondaria, finalizzata ad evitare il ricorrere di ulteriori eventi ischemici e la progressione della malattia.
Purtroppo, a livello di strutture territoriali il follow-up di questi pazienti è fragile e frammentato. Gli ospedali non hanno le risorse umane e organizzative per seguire tutti i pazienti nel post infarto: se consideriamo che in un ospedale di medio volume si ricoverano in media 500-600 pazienti con infarto all'anno, di questi solo i più gravi potranno continuare ad essere seguiti per 2-3 mesi. Successivamente, dovranno transitare verso un'assistenza territoriale che nella maggior parte delle regioni non è strutturata ed è molto frammentata.
L'auspicio è che tale situazione possa migliorare a fronte dei fondi messi a disposizione del Pnrr e del futuro nuovo Piano sanitario nazionale".
L'infarto "richiede un approccio anche di tipo organizzativo – sottolinea il past president Anmco – Quando un paziente viene colpito da infarto dovrebbe subito essere ricoverato per essere sottoposto ad angioplastica nel più breve tempo possibile. I cardiologi si sono concentrati su molti aspetti come la soluzione del cosiddetto 'ritardo evitabile', con il coinvolgimento della Fondazione per il Tuo Cuore e la promozione di campagne informative rivolte alla popolazione, che spiegano ai cittadini l'urgenza di recarsi al Pronto soccorso nel caso si manifesti un dolore al petto per fare subito un elettrocardiogramma".
"I cardiologi – rimarca Colivicchi – hanno collaborato con le istituzioni per realizzare procedure e protocolli che consentissero di arrivare prima possibile alla sala operatoria per risolvere l'infarto nella fase più acuta. Dati di Agenas ci dicono che oggi l'Italia è ai primi posti a livello mondiale in termini di risultati di accesso rapido ed efficace alla procedura di angioplastica nell'infarto".
Nel tempo "ci sono state moltissime iniziative volte a migliorare la qualità complessiva delle cure erogate a questi pazienti: studi osservazionali per capire come venivano curati, identificazione delle strategie più efficaci per usare al meglio le terapie che, grazie alla ricerca scientifica, diventano sempre più numerose e disponibili, sensibilizzazione dei cardiologi a rendere accessibili i nuovi farmaci.
In questo senso, i cardiologi hanno lavorato molto con l'Aifa, l'ente che governa l'utilizzo dei farmaci in Italia nell'ambito del Ssn. Il problema si presenta quando il paziente esce dall'ospedale", conclude.