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Alzheimer precoce o giovanile: come riconoscerlo

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Con l'allungarsi dell'aspettativa di vita, è aumentata anche l'incidenza delle forme di demenza senile provocate dall'Alzheimer, ma ci sono sintomi precoci. Come ben sappiano, purtroppo, non esistono attualmente cure efficaci per il morbo di Alzheimer che, una volta che la persona affetta ha mostr...

Con l’allungarsi dell’aspettativa di vita, è aumentata anche l’incidenza delle forme di demenza senile provocate dall’Alzheimer, ma ci sono sintomi precoci.

Come ben sappiano, purtroppo, non esistono attualmente cure efficaci per il morbo di Alzheimer che, una volta che la persona affetta ha mostrato i primi sintomi, degenera inesorabilmente, fino a “soffocare” i neuroni del cervello con la proteina beta-amiloide che si agglomera formando delle placche e degli ammassi neurofibrillari di filamenti, soprattutto di proteina Tau, che invadono il citoplasma delle cellule neurali: queste due condizioni portano ad un declino cognitivo irreversibile. La ricerca prosegue in tutto il mondo, aprendo nuove strade e nuove speranze: nel nostro Paese, ad esempio, nel 2013 un promettente studio dell’Istituto Superiore di Sanità di Bologna ha individuato una tossina derivata dal batterio intestinale dell’Escherichia Coli, la CNF1, che nelle cavie avrebbe determinato una regressione dei sintomi dell’Alzheimer fino ad una completa scomparsa, ma è ancora presto per stabilire se può essere impiegata anche negli esseri umani.

Il morbo insorge soprattutto dopo i 65 anni di età, ma nel 6% dei casi si riscontra una forma precoce, detta anche giovanile, nella quale i sintomi compaiono già a 30 anni: il principale disturbo che può far accendere il campanello d’allarme è la perdita di memoria a breve termine. Secondo le risultanze clinico-scientifiche attualmente in possesso dei ricercatori, non si può assumere come certa la trasmissibilità genetica dell’Alzheimer, se non in un risicato numero di nuclei familiari in cui la malattia si presenta con ricorrenza in più parenti: in questi rari casi, un figlio può ereditare da un genitore la parte di genoma responsabile dell’insorgenza del morbo (il cromosoma individuato come collegamento alla predisposizione all’Alzheimer è il 21) ed iniziare a risentirne già tra i 30 ed i 60 anni. Si ritiene anche che l’aver subito violenti traumi alla testa nel corso della vita, possa aumentare il rischio di ammalarsi, specialmente se si è stati vittima di un colpo al capo dopo i 50 anni, si ha nel corredo cromosomico il gene apoE4 e si è svenuti immediatamente dopo il trauma cranico.

Uno studio delle Università di Boston e Antioquia, ha invece riscontrato una connessione tra la mutazione del gene PSEN1 (presenilina) e lo sviluppo precoce della malattia: dei 44 giovani tra i 18 ed i 26 anni osservati dagli studiosi tramite analisi di liquido cerebrospinale, TAC ed esami del sangue, 20 sono risultati portatori della mutazione. Nel confronto con i 24 ragazzi che non la presentavano, inoltre, ha evidenziato nei primi una maggiore attività a livello dell’ippocampo che nel cervello è sede della memoria e le immagini ricavate delle tomografie hanno mostrato alcune aree con minore presenza di materia grigia. Nel liquido cerebrospinale, infine, era riscontrabile un livello più alto della proteina beta-amiloide. Queste risultanze hanno spinto gli studiosi a considerare questi risultati come precursori dell’insorgenza del morbo più o meno 20 anni prima che si presentino i primi sintomi.

Esiste anche un test implementato dall’Università dello Stato dell’Ohio e, più in particolare dal team del professor Douglas Scharre, con il quale è possibile effettuare un auto-screening della propria situazione cognitiva, denominato S.A.G.E. (Self-Administrated Gerocognitive Examination), diffuso globalmente dopo una fase di prova somministrata a 1047 persone sopra i 50 anni, tra le quali il 28% ha mostrato, con le proprie risposte, segnali di iniziale deficit cognitivo: lo scopo del test è quello di sottoporre i risultati al proprio medico se il punteggio ottenuto, su un totale di 22, è inferiore o uguale a 16.

Vediamo nello specifico come è fatto il S.A.G.E.:

Dopo aver compilato rigorosamente da soli, senza l’aiuto di altre persone, una prima parte in cui vengono richiesti dati anagrafici, impressioni generali e informazioni cliniche su eventuali episodi o patologie a carico del sistema nervoso, vengono proposti dei semplici esercizi:

sage-1

Dopo questo primo quesito mnemonico e visivo, si passa ad esempi logico-matematici:

sage-2

Si prosegue con l’utilizzo dello strumento del disegno a memoria:

sage-3

Si richiede poi di scrivere negli appositi spazi delle parole, appartenenti ad una specifica categoria:

sage-4

Viene fornito un esempio, in base al quale chi compila il test deve svolgere correttamente questo esercizio:

sage-5

L’ultimo step, sempre anticipato da un esempio, prevede la risoluzione di un quesito tramite un disegno:

sage-6

Per completare correttamente il test, viene chiesto infine di rispondere esplicitamente alla domanda “Ha terminato?”, scrivendo “Sì”.